mercoledì, Maggio 15, 2024
Età evolutivaTutte

“Lo sport contesto importante per la crescita”

intervista di Francesco Siano

Intervistiamo il dott. Fabio Matascioli, psicologo, Psicoterapeuta, presidente dell’Associazione TAM (Tieni A Mente) che ci offre l’occasione di riflettere sull’importanza dell’attività sportiva ai fini della crescita del bambino e del rapporto tra questi e i genitori.

Dottore secondo lei, quanto è importante l’attività sportiva nel processo di crescita psicofisica del bambino?

“Da un punto di vista psicologico, e non solo, la pratica sportiva diventa un momento importante all’interno del percorso evolutivo di ogni bambino. Lo sport è infatti il luogo dove si settano tutti quei meccanismi neurofisiologici che permetteranno al bambino di essere più “coordinato” nei movimenti, ma anche il luogo dove il bambino impara a stare con gli altri ed a socializzare.  Al momento poi dell’introduzione della pratica agonistica, il bambino avrà la possibilità di imparare, non solo un concetto “sano” di competizione, ma anche l’accettazione dei propri limiti, cosa ancor più importante per la costituzione di un Sè “reale” e “solido” e per la formazione di un adulto stabile e maturo”.

Come devono comportarsi i genitori nei riguardi di un figlio sedentario che non intende praticare alcuna attività sportiva?

“Probabilmente alla luce di quanto detto finora forse la cosa che consiglierei di più a questi genitori è di puntare sulla componente ludica dello sport, cercando di invogliare il bambino e cercando di fargli capire che praticare lo sport è soprattutto divertimento. E qualora le resistenze da parte del bambino persistano cercherei di indagare più a fondo sulle cause di queste resistenze, che raramente risiedono soltanto in un sentimento generico di pigrizia, magari rivolgendomi a qualche specialista del settore.”

L’attività sportiva scelta dai figli, non sempre coincide con quella che fa più piacere ai genitori, sopratutto quando si tratta di sport caratterizzati dal contatto fisico, come ad esempio, il rugby, le arti marziali o il pugilato. In questo caso, come possono essere superati gli attriti che si creano tra genitori e figli?

“Quando si diventa genitori è inevitabile fantasticare sull’avvenire dei propri figli. Spesso si finisce a farsi dei veri e propri programmi su quello che dovrà o non dovrà praticare il proprio figlio. Questo fenomeno se da un lato è necessario alla costituzione del processo identitario come genitore, dall’altro, se ci si dimentica che i programmi dei genitori non sono altro che “idee” e/o “indicazioni” che il bambino può più o meno seguire, se ci si dimentica che i bambini sono comunque persone “diverse” con interessi e gusti diversi da quelli dei genitori, può comportare la formazione di attriti spesso difficili da gestire. Spesso è utile da parte dei genitori fare un passo indietro è chiedersi se gli ostacoli o comunque le remore circa un determinato sport risiedano più nelle caratteristiche dello sport stesso o nel fatto che il bambino sta forse per la prima volta manifestando una propria volontà e che questa non coincide con quella del genitore. Qualora si tratti del primo caso l’invito è quello di avere un confronto con l’istruttore/allenatore di riferimento che con la sua preparazione sicuramente avrà modo di rispondere a tutte le perplessità che il genitore gli porta. Qualora invece si tratti della seconda opzione la considerazione che mi sento di fare è che spesso i bambini hanno bisogno di sperimentare e che questo processo non sempre passa per le modalità ed i tempi attraverso i quali lo hanno fatto i suoi genitori; lasciare esperire al proprio bambino quello che vuole supportandolo nella scelta ed affiancandolo nel processo decisionale permetterà al genitore di aiutare il proprio figlio nella creazione di un’autonomia molto importante per la futura età adulta, quella della capacità decisionale. Anche in questo caso qualora gli attriti dovessero comunque persistere il consiglio è quello di rivolgersi ad un professionista per la risoluzione degli stessi.”

Spesso capita che i bambini, già nei primi mesi, se non nel primo mese, decidono di cambiare o abbandonare l’attività sportiva intrapresa. In questo caso, quale comportamento devono tenere i genitori, assecondarli nella scelta  o insistere e fare in modo che il bambino continui l’attività?

“Dipende molto dalle motivazioni che portano il bambino a voler abbandonare o cambiare sport. Può capitare effettivamente che al bambino una volta sperimentato non piaccia realmente lo sport che ha iniziato a praticare. Può però capitare che spesso la richiesta di cambiamento sia dettata da difficoltà che il bambino ha iniziato a sperimentare nella pratica sportiva e che lo portano alla “resa” ed all’abbandono dello sport tanto desiderato. Spesso un ruolo cruciale in queste situazioni lo giocano l’allenatore da una parte ed i genitori dall’altra. Nell’ambito dell’età evolutiva i piccoli atleti hanno spesso bisogno di continui rinforzi positivi circa la loro attività e le loro capacità; se questi rinforzi non vengono percepiti o se le aspettative del bambino circa le proprie capacità sono troppo alte rispetto agli obiettivi ragionevolmente raggiungibili in quel momento, il bambino può cercare di abbandonare la pratica sportiva scelta attraverso una richiesta di cambiamento. A quel punto diventa importante il comportamento degli adulti che gravitano attorno al bambino, vale a dire allenatore, genitori, nonni, etc., se questi cambiano modalità o ridimensionando le aspettative irrealistiche del bambino o rinforzandolo positivamente qualche volta in più, potrebbe capitare che il bambino ripensi alla propria decisione di “abbandono” dello sport scelto.”

È possibile capire se il bambino  è più portato agli sport di squadra o individuali?

“In linea di massima no. A mio avviso non ci sono fattori univoci predisponenti “a priori” per uno sport di squadra o per uno sport individuale. Le caratteristiche personologiche che spesso si riscontrano negli sportivi che praticano l’una o l’altra tipologia da molti anni non vanno considerate come “fattori innati” nel bambino, quasi geneticamente scritti nel suo DNA. Tali caratteristiche vanno considerate più come una sorta di “apprendimenti” in relazione ad esperienze di vita che il bambino fa durante la pratica sportiva. Entrambe le tipologie di sport recano per loro caratteristiche in sé degli “apprendimenti. Molti di questi sono in comune, altri più specifici per caratteristiche dello sport scelto. L’invito che quindi “nuovamente” faccio ai genitori dei bambini che volessero scegliere uno sport anziché un altro è quello di affiancarli nel processo decisionale fornendo loro una visione quanto più ampia e semplice al contempo delle opzioni ha a disposizione, per poi lasciar comunque scegliere al proprio bambino e rinforzarlo nella sua scelta dandogli così la possibilità di lavorare in maniera attiva sulla propria autostima.” 

tratto da “Corriere del PalloneAnno XVIV – Numero 31